Una recente lettura di A. Testa su Gregory Bateson mi ha stimolata a rielaborare alcuni concetti da condividerli in questo spazio, per stuzzicare riflessioni in merito agli aspetti positivi di questo rallentamento forzato da una causa certamente negativa in quanto mette a repentaglio la sopravvivenza, ma anche l’equilibrio psico-fisico individuale e gli equilibri economici a livello micro e macro.

Bateson sostiene che ogni eccesso sia tossico e propone una idea di equilibrio che non è da confondere con la “preziosa moderazione” di Orazio o con “l’aurea via di mezzo” proposta da Aristotele o da Confucio, da Budda o da San Tommaso d’Aquino.

La sua idea è che esista un limite fisiologico, imposto dalla natura stessa, correlato con la finitezza del nostro corpo e della nostra mente ma anche del tempo a disposizione, della capacità di attenzione, di concentrazione e apprendimento esercitabili e perfino della capacità di provare emozioni come la felicità, piuttosto che delle vittorie conquistabili senza essere travolti dall’eccesso di successo. Insomma, una sorta di “q.b. dinamico” da tarare in relazione alle risorse disponibili, lasciando sempre un margine di sicurezza per non esaurirle, questo il parametro su cui ponderare le decisioni e le azioni individuali e ma anche quelle collettive, per prevenire derive tossiche per il nostro sistema complesso, umano ed ambientale.

Tuttavia siamo (anzi eravamo) immersi in un sistema così rapido e bulimico di stimoli e vantaggi -reali o percepiti- che perdiamo il senso del q.b. e fatichiamo a preoccuparci per un “troppo” di cui spesso non percepiamo l’entità, l’impatto e la tossicità, restando incapaci di porre un vero limite all’aumento delle disuguaglianze. Innegabile che il “troppo” trasformi ogni cosa in altro: portati all’estremo il corteggiamento diventa stalking, l’attenzione alla linea diventa anoressia, le promesse diventano millanteria, la solitudine beata diventa misantropia, etc..

All’esordio del processo di familiarizzazione con il princìpio di sostenibilità ambientale, questo virus ci ha improvvisamente immersi in una moviola, offrendoci la possibilità di riflettere sulla sostenibilità personale, partendo dalla forzata applicazione del q.b. al micro-mondo individuale. Potremmo fare un passo avanti se alla fine di questa esperienza non forzeremo per tornare al prima e sapremo coniugare queste due sostenibilità, nel rispetto dei limiti umani e del contesto-ambiente.

Adesso però è ancora tempo di resilienza: paradossalmente ora più che mai dobbiamo essere globalizzati nella responsabilità che, massificata, da soggettiva si trasforma in resistenza collettiva al virus che -per ciò che osservo in clinica e sento quotidianamente dai colleghi in prima linea- nulla ha a che fare con la banale influenza. Riflettiamo ma non abbassiamo la guardia.