Come fisioterapista non ho certamente gli strumenti di virologia adeguati per strutturare, e tanto meno esprimere una opinione netta, forte e sicura in merito a questo nuovo virus di cui tutti parlano da quando, il 22 febbraio anche qui in Italia è stato individuato il primo caso positivo al coronavirus SARS-CoV-2. Tuttavia – in qualità di sanitario – mi sento chiamata a gestire al meglio il mio Studio Fisioterapico, oltre che nella pratica quotidiana, in merito alla tutela dei pazienti ed alla loro sicurezza negli ambienti in cui si svolge la terapia.

Ciò che sappiamo ad oggi in merito al virus è che i nostri scienziati stanno lavorando al meglio per isolarne i diversi ceppi e per trovare quanto prima il vaccino che ci proteggerà, che i sanitari in prima linea sono operativi per aiutarci al meglio in caso di bisogno mentre il governo è all’opera per elaborare strategie d’emergenza per il contenimento della propagazione. E’ un virus simile ad altri ma sufficientemente differente, per il quale non abbiamo ancora prodotto glanticorpi: è capace di mutazioni veloci, è caratterizzato da grande adattabilità ed elevata trasmissibilità, che può esprimersi con un quadro sintomatico denominato CoVid-19 (con tosse, febbre e talvolta diarrea) o asintomatico. Sappiamo che può mantenere la propria vitalità su una superficie infetta fino a 9 ore e che i soggetti più fragili (anziani, immunodepressi e persone già malate) hanno una maggior probabilità di esprimere quadri clinicamente più complessi e difficili da gestire, in caso di infezione. Per questo è importante adattarsi con elasticità a questa nuova situazione, cambiando piccole abitudini di vita, in modo da collaborare al meglio ed aderire alle norme di igiene indicate dall’OMS. Quest’ultime – riprese dal Ministero della Salute e dall’Istituto Superiore di Sanità – sono ad oggi la migliore prevenzione a disposizione da mettere in atto. Nei siti istituzionali sono reperibili informazioni affidabili in merito al virus, all’andamento con raccomandazioni atte alla prevenzione: distanza sociale/tempo di esposizione, lavaggio frequente delle mani e sue modalità corretta, starnutire e tossire nell’incavo del gomito, gestione di fazzoletti e indumenti potenzialmente infetti, disinfezione delle superfici (tavoli, sedie, interruttori, maniglie, schermi di cellulari e devices, utilizzo di protezioni idonee ed appropriate al contesto ed alla situazione, etc).

Come libera professionista ad accesso diretto, non operando nei contesti di emergenza, mi sono chiesta sin da subito quali fossero le misure di tutela più consone da adottare per tutelare tutti noi (pazienti ed operatori) senza alimentare stress, ansia e panico. Queste alcune delle riflessioni che mi hanno guidata nelle scelte sino ad oggi:

Prima regola: non nuocere. In ambito fisioterapico, dobbiamo essere in grado di individuare come red flag tutte quelle problematiche non di nostra competenza e riferire subito il caso al medico curante, allo specialista in modo da non perdere tempo, energie e risorse inutilmente. Il coronavirus è quindi da classificarsi come red flag da segnalare alle autorità competenti, invitando il paziente a rivolgersi all’apposito numero verde per sottoporsi all’iter di controllo idoneo. Ma quale la procedura corretta per individuare un soggetto sospetto, in modo da non sovraccaricare il sistema già oberato ed allo stesso tempo non rischiare di peccare di leggerezza? Inizialmente avrei pensato a febbre e tosse in soggetti rientrati dai paesi a rischio, ma ora che il paese a rischio siamo noi? Forse ora aggiungerei diarrea, ma cosa dire di tutti gli asintomatici? E’ certamente un problema primario di chi si trova in prima linea, ma come deve comportarsi chi è in seconda linea e riceve con accesso diretto pazienti da ogni dove per disfunzioni muscolo scheletriche che nulla hanno a che fare con il virus?

Seconda regola: per aiutare l’altro dobbiamo stare bene noi, fisicamente e psicologicamente. Da essa la prassi di tutelare sé stessi in primis, non con logica egoistica ma al fine di non essere un pericolo per gli altri. Ma come agire quando chiunque è un potenziale portatore sano o veicolo di un virus ancora in incubazione? Quali misure adottare se la percezione soggettiva è di stato di salute e la clinica del momento lo conferma ma per svolgere il tuo lavoro in modo appropriato trascorri con l’altro 60′ (quindi più di 15′ ) a distanza ravvicinata e con contatto fisico? Cosa fare quando la red flag è ambientale e l’ambiente è anche il tuo studio?

Non è facile dare risposte “corrette” ed essere all’altezza della situazione adottando misure adeguate e prendendo posizioni coerenti. Non è facile perché siamo culturalmente e psicologicamente impreparati a tollerare questo tipo di stress da minaccia ed incertezza, causato dalla paura che correla con la mancanza di conoscenza, con l’assenza di controllo e con la forzata dilatazione dei tempi, in un momento storico e culturale caratterizzato al contrario da velocità, frenesia, immediatezza, certezze assolute, libertà di azione, pensiero e di grande mobilità.

Non è facile perché è una esperienza nuova per la quale non siamo preparati e per la quale non abbiamo ricevuto indicazioni specifiche. Durante questa emergenza, ad esempio, non sono infatti ancora state contemplate misure di sicurezza per i liberi professionisti (così come raramente vengono elaborate strategie di sostegno alle le partite iva), rafforzando la solitudine di una popolazione di invisibili che, seppur costituita da grandi numeri e capace di importanti contributi (diretti ed indiretti), pare non avere mai abbastanza voce. Voglio sperare che a breve vengano divulgate direttive anche per noi, non solo per tutelarci e tutelare ma anche per standardizzare i comportamenti e ridurre il fai date. Come sanitari anche noi abbiamo bisogno di indicazioni chiare e di un accesso agevolato ai materiali come igienizzanti, mascherine, guanti, ormai irreperibili ovunque se non dai peggiori speculatori a prezzi insostenibili.

In attesa l’unico paradigma affidabile è quello del buon senso: adottare le misure di precauzione nell’intento di fare il meglio e nella speranza che sia sufficiente.

L’applicazione del buon senso trova forma nella capacità di rallentare e riflettere, osservare e ascoltare, nella pazienza e nella calma, ma anche nella sospensione del giudizio. Alla base del buon senso la capacità critica che ci permette l’individuazione degli interessi, dei conflitti e di analizzare rischi e vantaggi. Nell’emergenza dove sono necessarie doti di prontezza, velocità e reattività non è facile mettere in atto queste risorse in breve tempo: proprio per questo esistono linee guida e procedure standardizzate e -in loro assenza- è logico seguire quelle più idonee per poi adattarle con elasticità alla situazione specifica.

Al momento dell’individuazione del primo caso positivo di Codogno avevamo a disposizione solo le linee guida dell’OMS per le epidemie che indicavano come preventive le seguenti misure: tenere una distanza di 2 mt per un tempo massimo di 15′, la disinfezione delle superfici dove i virus possono permanere per ore/giorni, il lavaggio frequente delle mani con procedura specifica, la riduzione dei contatti sociali e fisici, tra cui la stretta di mano, l’abbraccio ed il bacio.

Sono queste misure adeguate al nuovo coronavirus? La verità è che ad oggi non lo sappiamo, come non sappiamo se tutte le altre misure di cautela e protezione preventive lo siano, ma questo non significa che non vadano adottate. Trattandosi di un virus di nuova generazione con le caratteristiche inizialmente elencate, è comprensibile la difficoltà nell’individuare l’adeguatezza delle misure. Trovo quindi gratuita la critica pour parler della sovra o sotto-stima che specula irresponsabilmente, al fine di potere comunque accusare di restrizionismo o lassismo qualsiasi decisione venga presa: qualunque sarà il risultato, non andrà bene perché l’obiettivo non è informare e tutelare, bensì criticare e lamentarsi. Così facendo però si promuovono caos, dis-informazione, diffidenza, sfiducia, paura e stress con danni indiretti alla salute ed all’economia, nell’immediato invisibili in quanto difficili da ponderare e misurare. Al contrario abbiamo bisogno di tempo per pensare, calma per capire, energie per reagire.

A me pare ragionevole fermarsi, fare silenzio ed ascoltare, unirsi per una gestione coordinata e funzionale, attuando le misure preventive ad oggi più tutelanti, in attesa di informazioni più precise in merito a questo specifico virus, per poi adattarle con elasticità alle nuove conoscenze, nella speranza di poter dire in futuro che abbiamo fatto tutto il possibile per gestirla e contenerla, piuttosto che avere il rimorso di non avere fatto abbastanza. Perché tutto ciò avvenga è necessario uno sforzo collettivo a partire da ciascun individuo.

D’altronde sappiamo bene che il gruppo è molto più della somma delle parti, nel bene e nel male. Come una notizia negativa, la paura, l’angoscia ed il panico possono amplificarsi esponenzialmente a causa della risonanza emozionale che propaga tra gli individui, attivando così quelle aree del cervello atte a proteggerci dal pericolo, fino a spingerci a comportamenti irrazionali e controproducenti, anche una buona idea, un’informazione utile, un atteggiamento propositivo che promuove fiducia e speranza possono essere dilaganti e contagiosi, tanto da coinvolgerci in scelte partecipative ed azioni virtuose che – se massificate – possono fare la differenza. Tutti assieme facciamo la differenza contro il CoVid19.

Il buon senso porta in sé anche la scelta delle fonti. Difficile infatti destreggiarsi tra le fake news ed i commenti sui social, dove si sprecano le opinioni dei tuttologi a-critici, dei fai da te, degli speculatori e dei portatori di interesse più o meno consapevoli del conflitto che rappresentano. Inoltre non aiutano i conflitti tra scienziati e gruppi di ricerca, la rincorsa all’ultimo click tramite il sensazionalismo giornalistico, l’incapacità dei giornalisti di promuovere una informazione scevra da strumentalizzazione politica e la speculazione partitica in costante campagna elettorale: assieme al saccheggio dei supermercati, all’incetta di disinfettanti e mascherine, alle quotidiane aggressioni verbali e fisiche, sono tutte facce dello stesso poliedro sociale caratterizzato da una decadenza culturale, propria di un tempo povero di etica, professionalità e, appunto, buon senso. La ricerca e la scelta delle fonti è un’attività complessa che richiede tempo, conoscenze e capacità critica, tuttavia le fonti affidabili esistono: dai siti istituzionali, alle comunicazioni ufficiali, alle pubblicazioni di settore è possibile ricavare notizie attendibili, seppur non sempre comprensibili e in continuo divenire perché la scienza non è una, indiscutibile ed esatta, bensì un sapere aperto, dinamico e relativo alla cultura ed al tempo. 

Da non sottovalutare inoltre la presenza di bias cognitivi intrinseci, basati su credenze, pregiudizi, dati falsati o distorti, causa di risultati fallaci, interpretazioni errate e stime probabilistiche inaffidabili. E’ così che funziona il nostro cervello: nell’impossibilità di accedere a tutti i dati e comunque di esaminarli in modo esaustivo, esso attiva un sistema predittivo che ipotizza la probabilità con la quale un evento si esprimerà; questa ipotesi si basa sulle esperienze pregresse, di ciò che conosciamo o possiamo immaginare possibile. Si tratta di una strategia eccellente per prendere decisioni rapide e funzionali. Ricorrere però ad esempi e informazioni più facilmente reperibili nella nostra memoria in quanto più recenti nel tempo, straordinari, legati a narrazioni più vivide e ricche di emotività, può causare distorsioni nel giudizio. Il ricordo e l’attribuzione di rilevanza, gravità e pericolo sono inoltre strettamente correlate con l’intensità e la frequenza con la quale se ne parla. In questo senso, come scienza, politica e media raccontano i fenomeni influenza fortemente la nostra percezione, attivando lo stato di allerta, provocando reazioni primarie di difesa, attacco e fuga inadeguate e alzando il livello di stress, dannoso per la salute se prolungato nel tempo.

Per questo dobbiamo essere critici (non criticoni): 1) partendo dal presupposto che non tutte le fonti sono autorevoli, affidabili, capaci di discernere quando la narrazione emotiva può accompagnare la notizia e quando è necessario offrire dati scevri da coloriture, 2) tenendo presente che qualsiasi immagine o racconto è una lettura parziale e filtrata della realtà ma non corrisponde alla complessità reale, 3) considerando l’alta percentuale di fake news che viaggiano ad alta velocità e larga estensione, 4) non sottovalutando che l’insaziabile fame di notizie supera la capacità produttiva di nuove notizie, portando il business dell’informazione a replicarle con ridondanza di commenti e discussioni che promuovono a loro volta nuove ipotesi, interpretazioni, deduzioni, immaginari e scenari che alimentano l’infodemia, prolungando lo stato di allerta ed il conseguente stress, 5) ricordando che il nostro sistema predittivo è fortemente influenzato da tutti questi fattori e determina a sua volta la nostra capacità di analisi, la qualità delle nostre valutazioni e modulando le nostre emozioni.

Il buon senso quindi oggi coincide con l’igiene del corpo, dei luoghi ma anche della mente: rallentare e concedersi riflessioni atte a mettere a fuoco il momento in cui ci troviamo, il contesto in cui ci muoviamo ed individuare le priorità; mantenere la calma e la capacità di analisi dei pochi dati affidabili, provenienti dalle fonti istituzionali; sensibilizzare da un lato e calmare dall’altro chi ci circonda, cercando di stimolare riflessioni equilibrate e condividendo informazioni corrette; promuovere la partecipazione attiva con responsabilità, fiducia e speranza, esercitando la pazienza, l’accettazione dell’incognito e l’elasticità necessaria ad adattarsi rapidamente al cambiamento, secondo le nuove informazioni e direttive.

Il buon senso ci porta a rivalutare il significato di società civile e del valore evoluzionistico che ci ha spinti ad aggregarci in collettività: oggi più che mai possiamo dire che “la nostra salute è nelle mani degli altri“, evidenza inconfutabile che rende vano qualsiasi gesto egoistico e dovrebbe promuovere la condivisione del sapere e delle opportunità, nonché facilitare l’accesso alle risorse, ai materiali ed alle materie prime, soprattutto per i più fragili e per chi più è esposto al rischio.

Il buon senso ci riporta a riflettere sulla rilevanza del Sistema Sanitario Nazionale, della sua integrazione armonica con quello privato (ben regolamentato) e del valore della Ricerca : cosa sarebbe oggi se li avessimo definitivamente già smantellati, a favore di altre priorità apparentemente più importanti?

Come società dobbiamo quindi curarci anche dell’igiene etica dei 4 pilastri fondanti la nostra società civile, ovvero informazione, sanità, educazione e giustizia, senza i quali decadiamo come individui, come professionisti e come sistema complesso. Come individui possiamo coltivare il buon senso, la capacità critica, l’igiene del corpo, dei luoghi e della mente e lo spirito di condivisione di tutto ciò.